Mio padre

Mio padre s’è smarrito nella terra dell’indefinito, degli scenari che cambiano in continuazione, dei viaggi e traslochi che ogni giorno gli affaticano la mente, dei figli che diventano osti o cantinieri, dottori o signori di passaggio, di mogli che diventano generali, di camere da letto mobili, che non danno più conforto e sicurezza: mio padre é voluto andare in un teatro, dove gli cambiano continuamente le scenografie.

Si disorienta e con la tenacia dei bimbi piccoli chiede dove sia, perché sia lì, chiede di essere portato a casa sua, la sua vera casa, angoscia e sgomento i suoi tignosi compagni di viaggio.

Mio padre ha fatto un buon lavoro se ora i suoi figli lo lavano, lo vestono, lo imboccano, lo prendono in braccio, se lo calmano nelle ore insonni e agitate della notte.

Però é anche un po’ farabutto: ci ha buttato addosso una croce: non siamo pronti, non sappiamo capire che non tornerà mai più l’uomo sicuro e deciso di prima, che non sarà più in grado di camminare da solo e formulare un pensiero logico.

Io mio padre lo amo, ma lo odio anche un po’, non si fanno questi brutti scherzi.

Non si accarezza in viso una figlia durante la veglia notturna e le si chiede: “chi é sta figliola?”

Io mio padre voglio metterlo nel mio sogno e voglio farlo guidare, andare a fare la spesa, prendere il caffè al suo bar preferito. Io non ci credo che mio padre si sia trasferito per sempre nelle lande dei pensieri disconnessi.

É mio padre, non é possibile

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