Giovanni

I ricordi vengono a bussare alla tua porta senza un perché, senza avvisare, senza nemmeno squarciarti di dolore o “friccicare” la tua gioia, sono lì come statue in un museo, si lasciano guardare con indifferenza, loro sono, esistono, sono imperituri, nonostante tu ci sia o meno.

E veniamo al ricordo, mi pare così strano che mi sovvenga, ma ha bussato e allora apro l’uscio: ero giovane, eravamo tutti giovani, le mie sorelle, i miei fratelli, i nostri amici e trascorrevamo lunghe, torride, divertenti estati in Sicilia. Prendevamo in affitto un casolare di campagna ai piedi dell’Etna, circondato da agrumeti, fontane in pietra, terra scura, piena di dazi, fatica, sudori, gatti affamati che mangiavano persino il pane secco.

In un aranceto che costeggiava la nostra casa, c’era Giovanni, il contadino poeta. Lavorava duramente tutto il giorno e quando finiva ci passava accanto (una terrazza che s’ abbracciava all’agrumeto, senza cancelli o muretti) mentre consumavamo un pasto vociante e allegro, e si fermava per un bicchiere di vino rosso, in cambio ci regalava pizzini con le sue poesie. Sono ricordi di 30 anni fa, probabile che Giovanni sia morto, ma volevo dirgli, Giovanni volevo dirti che eri un personaggio poetico e la tua vita ha avuto un senso, i tuoi alberi sono ancora caldi di sole e delle tue mani rugose. La terra avrà più ricordi di te che di me ed é giusto così.

Amelia

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