Amelia la cartomante

Eh, è il mio lavoro, e allora? Faccio le carte, predico il futuro, leggo il passato e mi faccio pure i fatti tuoi del presente. E quando il mazzo non è chiaro, ti leggo la mano. Io scruto, scruto, le linee del palmo, gli occhi, i fanti e i re, scruto e spio le esitazioni nel tuo viso, la sorpresa, la paura, il disappunto, la gioia, il terrore. Perché se io ti dico che morirai domani, avrai paura, eh. Ma non te lo dico, a me piace predire futuri gioiosi, pieni di amore realizzati, di uomini che tornano, di separazioni risolte, di ricchezze che arrivano, eredità improvvise etc. etc. Che ne faccio delle brutte notizie? Le butto nel tritarifiuti. Quando vedo una carta malevola la trito. E poi seppellisco i resti nel bosco. Se mi incontri di notte nel bosco, mi scambi per una strega. Però una strega curata, che non esco senza trucco e ben pettinata, eh!

Oggi è arrivata una donna bellissima, la bellezza di un’attrice, una Sophia Loren dei giorni nostri, gli occhi enormi e le ciglia lunghissime, burrosa, vestita in pizzi e trasparenze, senza eccessi però. Le ho lasciato dire solo il nome, poi ho subito tirato fuori le carte. Mmmhhh, che passato doloroso, vedevo un’onda di sangue alta metri, le sue lacrime, i tormenti, i torti subiti Sapevo cosa voleva conoscere del futuro: voleva sapere se l’uomo di cui era innamorata e che aveva lasciato per paura di soffrire, sarebbe tornato indietro. Uscì una carta maligna. Non feci una piega, presi la carta e la tritai. Tirai dal mazzo la carta più bella e le promisi un futuro radioso, felice. Andò via leggera, fiduciosa, persino allegra. Ora vi devo lasciare, devo uscire. Il bosco mi aspetta.

Amelia De Simone – tarocchi e chiromanzia.

Condividi:

Il libro delle risposte

wislawa-che-legge[1]Quand’ero vecchia, vecchissima, circa novant’anni, gestivo una libreria. Ogni mattina il giovanotto della drogheria di fianco mi aiutava ad alzare la serranda, io in cambio gli lasciavo sfogliare tutti libri che voleva, tranne uno, il libro delle risposte.

Quel libro era magico e andava maneggiato con cura e molta, molta cautela. Conteneva risposte profonde, indubitabili, molte volte dolorose. Ed io volevo fare tutto nella mia vita, che poteva essere ancora corta o lunga, a seconda dei capricci del buon Padre, tranne che spargere dolore. Era il mio libro segreto, quello che tiravo fuori una volta l’anno, massimo due, per i miei giovani amici dal cuore infranto. Per lo più donne, ma a volte anche giovanottoni dall’aria spavalda e dal cuore di burro, tutti con la testa in subbuglio, innamorati persi e con la paura di perdere la persona amata.

Ricordo nitidamente – per avere novant’anni sono una vecchia signora arzillissima! – quando arrivò Annina, che era tutta un peperino e si era innamorata di uno scrittore. Lei tutta fuoco e fiamme, lui pacato, riflessivo, avevano dei tempi di reazione diversissimi, per cui lei soffriva della sua lentezza, nelle dimostrazioni affettive e nello sbocciare dei sentimenti, per cui ogni tanto partiva in quarta e lo bistrattava. L’ultima volta lo aveva addirittura lasciato, a lei le mollezze non erano mai piaciute.

Però poi ripensava a lui in continuazione, al suo animo così generoso e altruista, alle sue pacifiche lotte per i diritti civili, ai toni garbati, ai suoi accenti emozionali così profondi, alle sfumature eleganti dei suoi scritti e gli mancava da morire. Ma Annina era orgogliosa, una che piuttosto che ritornare sui suoi passi, sarebbe morta di fame e sete. Però almeno voleva saperlo se era destino che continuassero o fosse finita davvero. Dentro di sé sapeva la verità, sapeva che no, non era finita, troppi fili in sospeso, troppi nodi da riallacciare, troppe esperienze da vivere insieme.

E mi chiese che le facessi consultare il libro delle risposte, glielo porsi subito, non mi piace che una persona amica senta il peso del favore, se si dona, bisogna farlo con leggerezza, senza mai farlo pesare. Le mani le tremavano, in quel libro c’era il suo destino di donna felice o infelice, forse di madre, e quella risposta avrebbe cambiato il corso della sua vita.

Le presi una sedia – pur pesando appena 42 chili, sono una donna d’acciaio – e lei si accasciò sopra. Iniziò a piangere, delle lacrime silenziose, il tappo delle emozioni si stava togliendo, copiose le lacrime bagnarono il tavolo su cui era appoggiato il libro. Le passai lievemente una mano in testa, aveva una testa piena di ricci rossi, una pelle chiara e lentigginosa e gli occhi più grandi e drammatici che abbia mai visto. Riuscì ad arcuare le labbra in un sorriso breve e di cortesia. Le feci portare una mano al cuore e l’altra sul libro.

Formula chiaramente la domanda e apri il libro, le ordinai con voce pacata. La sua domanda la conosciamo, la risposta fu che svenne. Il libro le aveva risposto che la sua vita sarebbe rimasta intrecciata al suo amato scrittore. La rianimai e poi andai a preparale una buona tazza di tè.

Amelia De Simone – novembre 2014.

Condividi:

Paola

charmel-raffinata[1]Quel giorno che Paola arrivò trafelata da me, per raccontarmi in lacrime di essersi lasciata con Amin, la strinsi forti a me e non dissi una parola. Quando arrivano le mie amiche in lacrime, non dico nulla. Pronta: abbracci silenziosi, fazzoletti, e incomincio a tirar fuori bastardelle, fruste, latte, farine e uova. Non c’è nessun dolore che una buona tazza di cioccolata calda e una tortina di mele non possano placare. Se poi è tempo di marron glacé, i dispiaceri li abbiamo belli che mangiati e fatti sparire. Paola era una donna di una bellezza raffinata, eterea, così filiforme, un collo da cigno, aveva perfetti capelli di seta, castani con striature chiare naturali, un’eleganza innata. Tutti gli uomini che gravitavano nella sua sfera se ne innamoravano, ma lei era così distante, irraggiungibile. Aveva avuto delle storie brevi e poco incisive. Fino a quando si era innamorata del suo amico Amin, scrittore libanese, poeta e sceneggiatore, un uomo intelligente, dalla bellezza profondamente intarsiata da rughe e occhiaie profonde, che incorniciavano i più begli occhi mediorientali mai visti.

Amin era sposato. Paola lo sapeva, ma non era riuscita a starne lontano e quando la storia si era infittita, da flirt era diventata una cosa importante, per entrambi. Ma lui aveva contemporaneamente una vera e propria venerazione per la moglie, regista teatrale, intellettuale e musa dei suoi primi scritti, dalla quale non si sarebbe mai separato. La passione divorava entrambi e sapevano, nemmeno troppo segretamente, che sarebbe arrivato prima o poi il giorno del loro addio, ma nel frattempo si consumavano nell’ardore e negli appuntamenti più rischiosi ed eccitanti. Quando non potevano vedersi, passavano le ore tra telefono, messaggi, mail. Erano stati giorni, mesi intensissimi, senza tregua, che li avevano svuotati e riempiti al tempo stesso, poi era arrivato il giorno che a entrambi era noto, quello della fine della relazione. Amin sarebbe partito per un lungo viaggio, avrebbe seguito la carovana teatrale della moglie e sarebbe tornato non prima di un anno, un tempo lunghissimo, funesto, durante il quale lei non lo avrebbe mai più visto.

Era come morire, restando in piedi. Paola credette di star per decidere di tirarsi un colpo. Amin non poteva farle questo, non lui, non a lei. Gli innamorati si dicono sempre le cose chiaramente e chiaramente non tengono fede, mica l’amore è una roba da ragionieri. Stringevo Paola, le asciugavo le lacrime e intanto giravo la cioccolata calda. Per fortuna era anche tempo di marron glacé.

Amelia De Simone – novembre 2014.

Condividi:
Vorrei fare il film

Vorrei fare il film

Vorrei fare un mestiere diverso dal mio, io faccio la personcina burocratica – per rubare un’espressione a uno scrittore serio e impegnato – tutta a modino, io vorrei fare il film. Non l’attrice, proprio il film. Io vorrei essere Il Fantastico mondo di Amelie, Chocolat, Pollo alle Prugne, La pietra paziente, La Sorgente, Tango libre, Attimo fuggente, Al di là dei sogni, La Grande bellezza e altri mille milioni. Vorrei uscire da una pellicola e entrare in un’altra, essere tutti i protagonisti, la regista, la sceneggiatrice, la compositrice, la sarta, la ragazza dei cestini, la comparsa, vorrei essere il filo di cotone dell’orlo della protagonista, il suo cappello, le sue autoreggenti, il suo sorriso, il suo pianto, lo schiaffo dato al suo amato, io vorrei essere tutto il film, possederlo ed esserne posseduta, riempire ogni singolo spazio, vorrei essere il cervello pulsante dello scrittore del libro da cui è tratto, e persino lo spettatore al cinema, vorrei essere le lacrime della sua commozione o le risate della sua ilarità, vorrei essere anche la caramella che scarta e mette in bocca, i pulviscoli nel cono della proiezione, e la musica, i balli, vorrei essere il paesaggio mozzafiato o la stamberga dove si girano le scene, vorrei essere guardata e vorrei dare emozioni, vorrei tormentare i cuori, scuotere gli animi, rallegrare e far pensare, a volte persino annoiare, avvolgere e far sognare, instillare malinconie e gioie feconde, vorrei essere un film, vivere tante vite diverse, uscire ed entrare in un altro film

Condividi:

Forse ritornerò

Sono alla frutta. Entro in libreria per prendere un tascabile, e dopo essermi lasciata ispirare tra mille titoli, immancabilmente mi dirigo nel reparto libri di cucina. Sfoglio qualcosa a caso, poi l’occhio cade sul libro dei desideri, appena la settimana scorsa è entrato prepotente nella mia lista dei desideri, ha scalato gli altri, come quei bambini con un fare esagerato e simpatico, che rubano subito cuore e scena quando entrano in una stanza. Non lo compro, ho le tasche piccine in questo periodo, ma lo desidero tanto. Mi appoggio su una pila di libri per sfogliarlo in santa pace. Trovo delle fotografie incantevoli e delle ricette che hanno il calore di casa, e d’improvviso ho gli occhi umidi: chiedo ai miei cieli segreti di instillarmi ancora quella passione per la cucina, con cui accudivo e coccolavo i miei affetti più cari.

Quant’era bello stancarmi, avere il polso fratto mentre impastavo frolle e lievitati, o mentre arieggiavo meringhe spumeggianti o giravo la pasta bignè perché non facesse grumi. Io sfornavo e accarezzavo le mie creature, io riempivo frolle e pan di spagna e spargevo un po’ del mio amore per loro. Ora non so più far nulla, la mia planetaria è muta, la sua panciona è sempre vuota, le formine dei biscotti – ne avrò millemila! – giacciono fesse nei cassetti, fruste, tagliapasta, rotelle e mattarelli riposano annoiati e attendono giorni di alacre allegria. Forse ritornerò alle mie nuvole di farina e zucchero, alle mie maratone per sfornare decine di teglie di biscotti, perché se mangiare gratifica, dar da mangiare una fetta di paradiso è un unguento per il cuore mio, così piccolo ma con tanto spazio per far da cuccia.

Condividi:

Un incontro casuale

936full-alessandro-baricco[1]Mi ritrovo così nell’incipit del suo libro. Accidenti, sono nell’incipit del libro di Baricco, ma se manco mi conosce Baricco. Eppure eccomi, io leggo, e lui mi descrive così dettagliatamente, anche il nome é il mio, ma come fa a sapere di me? Chi mai può avergli detto del mio segreto amore per lui?
O mamma, arrossisco, forse sto sognando e non me ne rendo conto, io, io nel suo libro, ma se non appaio nemmeno sul mio citofono, i miei vicini non sanno il nome mio e mia mamma ne balbetta almeno 3 prima di “incarrare” il mio. Ma che succede, che fantasia é questa?
Forse é uno scherzo di cattivo gusto del mio collega burlone o di qualche amica bontempona? Ma che faccio, lo denuncio per non aver chiesto il permesso? Oppure gli chiedo l’autografo? O mi faccio una foto con lui e il libro con la pagina aperta sul mio nome? Accidenti, non lo so.
Descrive il nostro incontro casuale in via San Quintino, eppure non mi conosceva, come può avermi notata?
Dice di me che navigo nelle parole eppure ho una sorgente sotterranea dove nessuno può accedere, che sorrido al mondo eppure ho delle tristezze infinite, che sogno eppure non so librarmi in volo, che ho il cuore enorme ma stretto stretto per me stessa…Baricco, io ti denuncio, questo tuo spiare mi devasta, ma chi sei, che vuoi? Accidenti a te!
(Se volete un autografo congiunto, vi aspettiamo domani al café letterario)
È tutto vero, seppur non dimostrabile. La verità é quella ed é dentro di voi.

Condividi: