Marcello

(Racconto ambientato in torteria)

Marcello venne a salutarmi. Avevo aperto da poco la serranda, ma lavoravo da ore in cucina. Stavo preparando un dolce di crema e amarene. Il preferito di mio padre e dovevo prepararlo a tutti gli uomini a cui volevo bene e che in qualche modo mi attraversavano la strada: fratelli, amici, amori, vecchi zii, il signore finto burbero del quinto piano. E per Marcello(Racconto ambientato in torteria)

Marcello venne a salutarmi. Avevo aperto da poco la serranda, ma lavoravo da ore in cucina. Stavo preparando un dolce di crema e amarene. Il preferito di mio padre e dovevo prepararlo a tutti gli uomini a cui volevo bene e che in qualche modo mi attraversavano la strada: fratelli, amici, amori, vecchi zii, il signore finto burbero del quinto piano. E per Marcello.

Non lo vedevo da mesi e da mesi non preparavo la torta dei miei uomini, ma quel giorno sapevo che un uomo importante della mia vita sarebbe passato in torteria.

Arrivò, il maglioncino in filo blu un po’ sgualcito, la T-shirt grigia che occhieggiava dallo scollo a V, i capelli ricci e buffi, ribelli senza troppa convinzione, un po’ disordinati, come per caso più che per anarchia, il sorriso accennato, quella timidezza che lo rendeva vulnerabile e lontano dalle mire delle donne.

Sarebbe partito dopo un’ora, giusto il tempo d’un caffè e una fetta di torta. Ci sedemmo, tagliai una fetta generosa di quell’oro morbido avvolto in una pastafrolla così scioglievole, le amarene dolci, che ingolosivano lo sguardo e il palato, ne presi anche io, usai i piattini in porcellana inglese, quelli del servizio “buono”, Marcello valeva la pena.

Mi raccontò che sarebbe tornato al paese, dopo 15 anni che non tornava più alla casa paterna. Proveniva da un paese costruito in pietra, arroccato tra collina e mare, circondato da ulivi e piante di capperi, quel sud così profondo da apparire un mito letterario. Non vedeva sua madre da 15 anni, eppure quanto l’amava, quante gelosie aveva patito per lei da bambino. E suo padre, che aveva lasciato adulto ma ancora giovane, le ultime foto lo ritraevano con una lunga barba bianca, gli stava facendo lo scherzo di invecchiare.

Non sapeva perché mancasse da così tanto tempo da casa, non sapeva spiegarselo: aveva lasciato che il tempo gli scivolasse addosso pigro e molle, senza mai decidere di partire. Ma ora era arrivato quel momento. Il desiderio di accarezzare la madre in volto, chiamarla in quel modo buffo che permetteva solo a lui, aiutarla nella spesa al mercato, prendere il caffè con suo padre in veranda, la vecchia poltrona in midollino un po’ sfondata, se ancora c’era, e poi la sigaretta come rito da consumare tra uomini, con sua madre che fingeva di sgridarli, che affumicavano casa e polmoni, via via, andate fuori, e suo padre fingeva di offendersi, si alzava come per andarsene, poi tornava lesto a darle un bacio sul collo e rideva come un ragazzino.

Marcello raccontava, un po’ ricordava, un po’ immaginava, intanto mangiava la torta e mi guardava come ti guardano gli uomini che t’hanno conosciuto davvero e hanno fatto la sciocchezza di lasciarti andare, di piegarsi alla tua indole di gitana sempre inquieta, sempre in cerca di una nuova casa.
Forse era passato per dirmi qualcosa d’importante, ma non lo disse.

Però mi pareva che volesse portarmi con lui, ma io dovevo preparare tante torte, approfittavo della sua timidezza per fingere di non capire, tanto lui non avrebbe mai chiesto, mai indagato. Dopo che se ne fu andato, impastai altra frolla, gli occhi mi pungevano, forse ero troppo stanca, una lacrima volle scendere per forza su quel viso scanzonato

Amelia De Simone – settembre 2015

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